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Turchia: verso le elezioni (Osservatorio Iraq)

Turchia: verso le elezioni (Osservatorio Iraq)

Istanbul 2014

Ci siamo. Ci siamo quasi.

Siamo verso la soglia del fatidico 30 marzo.

E, nel frattempo, Erdogan fa bloccare anche l’accesso a  youtube. La causa,  il video sharing della registrazione di un riservatissimo meeting sulla sicurezza, in relazione ai problemi con la Siria.

“Dopo un’analisi tecnica e considerazioni legali basate sulla legge Nr. 5651,  è stata presa una misura per questo sito (youtube.com) secondo la Decisione Nr 490.2014.48125 datata 27 marzo 2014 del Telekomünikasyon İletişim Başkanlığı”, si legge sul sito del Tib, l’organismo a cui viene dato il potere – senza precedenti -   di eseguire direttamente i blocchi dopo l’approvazione della legge che aveva destato preoccupazione, sia in Turchia che all’estero.

Certo, il blocco probabilmente sarà rimosso non appena i contenuti segnalati saranno eliminati dal sito.

Ma rimane un fatto decisivo, come decisivo è stato il blocco di twitter.

Alla vigilia del voto, Erdoğan sembra proseguire con i metodi duri.

Quello delle elezioni è un giorno importante, che segnerà una svolta decisiva per il futuro della Turchia. Perché si toccherà con mano, anzi con voto, la tenuta del potere di Erdoğan. Un uomo che, da maggio scorso, è passato attraverso la resistenza di Gezi e le sue vittime, la temibile minaccia che ha  un volto e un nome, quello di Fetullah Gülen,  la Tangentopoli che ha attraversato e scosso il paese, il blocco di twitter, youtube e la promessa di una svolta autoritaria.

Dov’è, ora, il “modello turco” a cui l’Europa guardava con benevolenza?

Sembra scomparso dietro un personalismo sempre più evidente, che sembra non essere troppo intaccato dagli scandali e dal pugno di ferro, almeno a giudicare dai bagni di folla dei comizi elettorali. Peccato che, qualche volta, le foto postate a testimoniare i fiumi di persone convolate dal premier sembra siano state “sottratte” ad altri eventi di massa per mostrare il successo numerico, almeno a giudicare da alcune foto fatte circolare sui social, in cui si rileverebbero dei montaggi ad art. Ma, si sa, i social sono birichini, ne combinano di tutti i colori.  Quei social ai quali Erdoğan sta facendo la sua personalissima, guerra. Se dovesse vincere, si dovrà temere anche per facebook e youtube. Nei suoi comizi, promette (o minaccia, a seconda dello schieramento) una severità ancora maggiore. Ma bloccare i social è come impedire alle persone di scendere in piazza a bere un caffè, oggi. Non a caso il presidente Gül non è affatto d’accordo.

L’opposizione cerca di cavalcare le difficoltà del premier mentre la Turchia sta con il fiato sospeso.

Il successo e il potere di Erdoğan si sono consolidati negli anni, godono dell’ampio consenso di fasce intere della popolazione, compresi gli abitanti delle zone rurali, legati alla tradizione e a quell’Islam “politico” promesso dal premier.

In questi ultimi giorni, ogni partito spara le sue cartucce mostrando il meglio di sé, come da copione elettorale.

Certamente, quest’ultimo anno è stato cruciale per la Turchia.

Un paese che vuole entrare in Europa ma che, da maggio scorso, si è distinto per i metodi repressivi e intolleranti. Il premier ha più volte espresso la sua noncuranza verso le volontà e i parametri europei, procedendo con il suo pugno di ferro.

Erdoğan, che per anni ha guardato a Ovest, imprimendo al paese un’accelerazione neo-liberista e capitalista con una visione simile a una “grandeur francese”, negli ultimi tempi pare abbia deciso di guardare nostalgicamente anche a Est, ponendosi come leader di ferro di un Islam politico che certo non risparmia processi di “involuzione” per quanto riguarda le libertà democratiche di un paese laico e moderno (anche se la democrazia compiuta, in Turchia, è un processo che deve ancora attuarsi).

Gli analisti politici osservano, commentano. Chi, come me, vive e segue il paese con il cuore del viaggiatore innamorato e la testa del giornalista curioso, si domanda, con un brivido, dove porteranno i venti della Turchia.

Sicuramente a Istanbul ho visto crescere e moltiplicarsi, nell’ultimo anno, il sentimento insofferente del “popolo di Gezi” e di tutti i laici e gi atei che non amano l’islam di Erdoğan e l’uso che lui ne fa, e che in molte, numerose conversazioni davanti a una birra mi hanno confidato i loro timori per il futuro e per l’islamizzazione del paese, o quantomeno una difficile deriva autoritaria. Cittadini normali, uomini e donne che vogliono vivere nella diversità sentendosi però parte di una paese in cui una parte non deve “pesare” più dell’altra.

Ho visto aumentare la diffidenza di amici e conoscenti, ho visto la paura e la rabbia negli occhi dei manifestanti, nelle piazze di Gezi o nei raduni contro la corruzione e la censura web, e poi ho visto la crescente ironia con cui hanno trasformato il premier nel loro bersaglio. La fantasia satirica dei turchi è incredibilmente vivace e brillante.

La Turchia sta cambiando, che ci piaccia o no.

Perché tutto ciò che avviene ha un peso, anche se magari, all’inizio, cerchiamo di scansarlo, di non avvertirlo.

Pesa anche il piccolo Berkin Elvan con i suoi 16 kg, e pesa quel commento assurdo con cui il premier lo ha liquidato: “terrorista”.

Pesano i morti, gli arrestati, i feriti, e pesano le censure che sono arrivate a bloccare ufficialmente twitter e youtube per salvaguardare eventuali prove scottanti che riguardano la vita e la politica di Erdoğan.

Ma non si può imbavagliare un’intera popolazione. Anche se il divieto è stato aggirato, rimane la macchia enorme, per un paese che si professa democratico, di una censura che lo avvicina a paesi come la Cina e l’Iran.

Staremo a vedere.

Sarà interessante capire se queste ultime vicende, che sembrano una serie di clamorosi autogol, avranno segnato il destino del premier o se, come è probabile, il suo carisma, e la sua opera di convincimento su masse decisive del paese, lascino un po’ graffiata ma ancora efficiente la sua posizione.

I giochi, aperti da tempo, stanno per chiudersi.

E, intanto, la bandiera con la mezzaluna oscilla nell’incertezza del vento.

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