E nel cuore un leone. Non è un film di Walt Disney, ma il titolo di un romanzo autobiografico sulla natura selvaggia in Sudafrica. L’autrice, Robie Kruger, è la moglie di un ranger e descrive la sua vita a contatto con la savana. C’è un piccolo particolare, però: il titolo originale dell’opera, pubblicata in due volumi separati, è Mahalagen e All things wild and wonderful.
Come spesso accade, il vizietto italiano di cambiare i titoli stranieri ha colpito di nuovo. Il cinema e la letteratura lo sanno bene. Perché, ad esempio, trasformare l’incisivo e inquietante Message to mutants, di Marlo Morgan, in E venne chiamata due cuori? La traduzione sarebbe sopravvissuta brillantemente nella lingua italiana. O forse tutti questi “cuoricini” di sapore tamaresco dovrebbero esaltare l’impatto con il mercato italiano?
Pure il cinema non si è sottratto alla caccia dei titolisti nostrani: Cesare et Rosalie, del compianto Sautet. È stato miseramente tradotto in Ẻ simpatico ma gli romperei il muso.
Analoga sorte è toccata a un altro film, di François Truffaut: Domicile conjual è diventato Non drammatizziamo, è solo una questione di corna.
Ancora, My Own Private Idhao arriva da noi e si trasforma in Belli e dannati.
Men of honour diventa L’onore degli uomini. Certo, l’’uomo d’onore’ nel nostro paese si associa tristemnete alla mafia, ma davvero avremmo creduto che un film su una base navale americana – con tanto di cartellone didascalico con le facce incazzate di Cuba Gooding Jr e Robert De Niro infilati in una tuta da palombaro – avrebbe trattato una qualche triglia connection? Runaway bride, serenamente traducibile con Sposa in fuga, diventa un più ammiccante Se scappi ti sposo.
Insomma, la lista è lunghissima.
Cosa cova sotto queste inziative arbitrarie?
Ovvio, òa strizzatina d’occhio al solito, famigerato mercato. Quindi i titoli sarebbero studiati per fare colpo sul pubblico italiano.
Ma siamo davvero così dementi?