Istanbul 2014
Duecentocinque morti. Duecentocinque vite interrotte, nel buio di una miniera, sotto terra, là dove il sole non batte, non scalda. Là dove nessuno ti vede, perché il mondo brulica “ al piano di sopra”, sulla superficie della terra, con le sue strade, le sue case, le sue macchine, e la gente che passeggia, lavora, fa la spesa.
Laggiù, nei sotterranei, vivono, ogni giorno, gli uomini del sottosuolo.
Uomini spesso sottopagati, costretti a scavare, come roditori, nella notte oscura (perché il giorno, lì, è uguale alla notte) per tirare fuori il carbone.
Vite umili, che scorrono via nel silenzio e nell’indifferenza.
Finché un giorno un incidente non le porta alla luce del giorno, scaraventandole lassù, nel “mondo”. Ma è troppo tardi. Non si deve vedere la luce da morti. Bisogna vederla da vivi.
E invece sono morti, quegli operai. E’ successo in Turchia, il 13 maggio., in un impianto a Soma, a un centinaio di chilometri da Smirne.
Un’esplosione, un incendio, una trappola senza scampo.
Il peggiore disastro in una miniera della moderna Turchia. Anche adesso si scava, si cerca, in una corsa disperata per salvare altre vite.
Quattrocento persone sono ancora là sotto, sono all’inferno. Bloccate con maschere a ossigeno, minacciate dal monossido di carbonio che ha già ucciso i loro compagni.
Un incidente grave, gravissimo.
La società responsabile è ora accusata dal partito di opposizione Chp che denuncia la violazione delle leggi di sicurezza sul lavoro, impiegando anche minori costretti a orari estenuanti. Infatti, fra i morti, c’è anche un quindicenne.
Sembra quasi di tornare indietro nel tempo, ai romanzi di Dickens, come “Tempi difficili”, in cui si denunciava lo sfruttamento dei minorenni, si raccontavano le loro condizioni difficilissime contrapponendole alle ricche industrie capitaliste dell’era vittoriana.
Eppure anche oggi, nel terzo millennio, si denunciano i vizi di un sistema che mette al primo posto il profitto. Alcune cose, purtroppo, non cambiano mai.
“L’incidente è un omicidio. Stiamo affrontando il peggior omicidio collegato al lavoro nella storia del paese”, dichiara Çetin Uygur, il capo dell’unione dei minatori. La notizia viene riportata dall’Hürriyet Daily News .
E, probabilmente, ancora una volta a pagare sono gli ultimi.
Quelli che devono lavorare, guadagnare, quelli che accettano condizioni disperate per sopravvivere.
Di sicuro negli ultimi anni la società accusata ora dal partito di opposizione ha abbattuto i costi in vari modi, fra cui anche il subaffitto dei lavori a operai sottopagati, che accettano salari bassissimi e orari di lavoro che vanno ben oltre la norma.
Sì, esatto, come ai tempi di Dickens.
Non a caso ci sono state, in passato, alcune richieste di controllo su quanto accadeva a Soma, in quella miniera.
Özgür Özel, del CHP, preoccupato per gli incidenti in miniera, che leggeva come un avviso, avea chiesto di indagare, ma un altro deputato dell’AKP, Muzaffer Yurttaş, ha risposto che le miniere erano sicure. Più sicure che in molti altri paesi, avrebbe aggiunto.
Così il partito di Erdoğan,l’AKP, proprio due settimane fa ha respinto la domanda di investigazione parlamentare.
Strano periodo, per il premier. Non appena sistema una faccenda, mette una pezza, aggiusta una situazione, ecco che si apre una nuova crepa.
Finita la stagione del lutto, della conta dei morti, delle bare, inizierà quella della polemica. Ma nessuna polemica, nessuna giustizia farà tornare indietro un morto. Non farà battere di nuovo il suo cuore. Mai più.
Ma intanto bisogna correre, bisogna fare presto. Perché mentre termino il pezzo, ci sono ancora tante persone incastrate là sotto. E quei morti, purtroppo, potrebbero aumentare.