di Francesca Pacini
Voi state usando il computer ma, per caso, si rompe. Vabbè, può capitare. Un incidente fastidioso, d’accordo. Nulla di irrimediabile, però. Per lo scrittore spagnolo Antonio Muñoz Molina, invece, si tratta addirittura – ohilà – di un attentato al lavoro compiuto. In un articolo pubblicato su “El Paìs” si lancia infatti in un’invettiva antitelematica a favore di una ritrovata pratica amanuense.
In breve (la facciamo breve noi, lui ci affligge con una cronaca estenuante), stava digitando un romanzo sul suo computer quando questo si è guastato. Preoccupato per la sorte dell’opera, ha deciso allora di disertare per sempre l’informatica (ma sarà vero?) per riesumare invece carta e penna. Le uniche, sostiene, che non fanno scomparire quanto scritto. Ora, il bello è che lui stesso ammette di avere (come tutti, del resto) la sua brava copia su un dischetto di scorta. E addirittura, pensate un po’, perfino un altro computer.
Niente da fare: glissa su questo dato (forse non propriamente marginale) e loda le virtù dell’affidabile inchiostro. Mah... Ci sembra un florilegio di banalità. E va bene, il computer non sarà suggestivo come una biro (magari una stilografica?), però, diciamolo, ci fa comodo. Eccome. Piantiamola con questa retorica nostalgica che fa della tecnologia uno strumento alienante o, in questo caso, addirittura pericoloso. E poi, spiacenti, ma esiste il sistema di salvataggio. Automatico. Dunque è quasi impossibile distruggere il materiale accumulato, a meno che non lo si voglia cancellare intenzionalmente. Ma questo, semmai, è masochismo. Oddio, è vero che esistono malaugurate evenienze in cui i documenti possono venire distrutti (vedi virus, guasti eccezionali) ma è anche vero che, con la necessaria accortezza, si possono spesso prevenire e magari scongiurare. Se così non fosse si tratterebbe comunque di eccezioni che confermano la regola della generale affidabilità del mezzo computer.
Da “Storie”, n. 24, novembre ’96 – febbraio ’97, a. VI, pp. 76-78