Leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario: diverso (ma non si può dire maggiore o minore) rispetto a quello di averlo letto in gioventù. La gioventù comunica alla lettura come ad ogni altra esperienza un particolare sapore e una particolare importanza; mentre in maturità si apprezzano (si dovrebbero apprezzare) molti dettagli e livelli e significati in più. Possiamo tentare allora quest’altra formula di definizione:
1. Si dicono classici quei libri che costiuiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
Infatti le letture di gioventù possono essere poco proficue per impazienza, distrazione, inesperienza delle istruzioni per l’uso, inesperienza della vita. […] Rileggendo il libro in età matura, accade di ritrovare queste costanti che ormai fanno parte dei nostri meccanismi interiori e di cui avevamo dimenticato l’origine. C’è una particolare forza dell’opera che riesce a farsi dimenticare in quanto tale, ma che lascia il suo seme. La definizione che possiamo darne allora sarà:
2. I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando si impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
Dunque, che si usi il verbo «leggere» o il verbo «rileggere» non ha molta importanza. Potremmo infatti dire:
3. D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
4. D’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
5. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
6. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume)
La lettura d’un classico deve darci qualche sorpresa in rapporto all’immagine che ne avevamo. Per questo non si raccomanderà mai abbastanza la lettura diretta dei testi originali scansando il più possibile bibliografia critica, commenti, interpretazioni. La scuola e l’università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d’un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario. C’è un capovolgimento di valori molto diffuso per cui l’introduzione, l’apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendano di saperne di più di lui.
7. Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.Non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo.
8. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.
[…] La scuola deve farti conoscere bene o male un certo numero di classici tra i quali tu potrai riconoscere in seguito i “tuoi” classici. La scuola è tenuta a darti degli strumenti per esercitare una scelta; ma le scelte che contano sono quelle che avvengono fuori e dopo ogni scuola.
9. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani.
10. Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
11. Un classico è un libro che viene prima degli altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
L’attualità può essere banale o mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire «da dove» li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo. Ecco dunque che il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d’attualità.
12. È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
14. È classico ciò che periste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.
[…] Poi dovrei riscriverlo ancora una volta perché non si creda che i classici vanno letti perché «servono» a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici. E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran: «Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. “A cosa ti servirà?” gli fu chiesto. “A sapere quest’aria prima di morire”».
Italo Calvino, “Perché leggere i classici”, Mondadori, 1981.