Che deve fare, oggi, un ragazzo che vuole lavorare in editoria?
Intanto, rimboccarsi le maniche perché, onestamente, stiamo vivendo un momento di grande crisi.
L’editoria annaspa da molto tempo, la crisi, poi, ha travolto i già esigui lettori.
Già. L’Italia è un paese che non legge. Si vede, no? Un paese che non legge è un paese che non educa, e che non ha educazione.
Nella (mal)educata Italia, il mondo editoriale affoga sempre di più.
Rinunciare, dunque?
No. Ma sapere alcune cose.
Sapere che esiste un mercato spietato, che fa fuori i più deboli, i più sensibili, i più attenti agli altri.
Una specie di selezione darwiniana, diciamo. Vanno avanti i bravi, bravissimi, che insieme alla preparazione hanno anche un certo “pelo sullo stomaco” se si tratta di fare le scarpe a un amico collega, vendersi per il prezzo più basso, accettare orari disumani e weekend domestici, bozze alla mano e portafoglio vuoto.
Questa è la verità. Ma si può.
Sapere che il redattore deve immolarsi per il lavoro che fa, vivere perennemente da precario, sottopagato, è lo scotto che si paga per fare uno dei mestieri più belli del mondo.
Qualche fortunato riesce ad avere una vita più dignitosa, ma sono pochi.
Eppure, eserciti di ragazzi ogni anno si rivolgono alla formazione sperando di trovare il posto per un stage, almeno uno stage.
Ora, io insegno questo mestiere dal 2000. Prima era diverso, c’erano più spazi, più opportunità.
Ma ci credo, ci credo ancora. E credo soprattutto nella formazione del “nuovo redattore”, quella che porto avanti in aula e nei corsi online.
Altrimenti è inutile fare un corso di editoria, così come è inutile sperare nel posto (fisso o…mobile che sia).
Ma bisogna ancora sperare, e lottare. Quelli forti, e bravi, possono afrcela.
E, perché no?, reinventarsi in service o un progetto editoriale innovativo in un paese che di idee non ne ha più.
Io continuo a dirigere corsi di formazione, ma con un occhio attento e allargato e nuove proposte per il redattore nel terzo millennio. Penso anche, con tristezza, allo scempio che stiamo facendo della cultura.
Povera Italia, che ancora scrive (male) e non legge (bene). Ma noi, ci crediamo ancora.