Per chi, come me, segue da molti anni i temi dell’ambiente è difficile vedere nelle conversioni green che si concentrano sugli immobili, e sugli incentivi alle auto elettriche, la soluzione reale delle tragedie a cui andiamo incontro.
Perché essere “green” è innanzitutto un fatto di coscienza. Senza una mente ecologica o avremo solo “lavaggi” fittizi che mettono la polvere sotto i tappeti (anzi, le case) ma non risolvono il fondamento su cui si basa la crisi epocale che stiamo attraversando. Crisi annunciata, a singhiozzo, in più di venti anni, fino al momento in cui si è deciso di mettere in agenda l’”emergenza pianeta”.
Questo pianeta, in realtà, è in emergenza da moltissimo tempo. La nostra terra è stremata, sfinita per colpa degli abusi a cui la sottoponiamo. Nell’ultimo secolo, le violenze si sono moltiplicate all’infinito, come nelle opere di Andy Wharol. Per questo ci sono i dati e le ricerche scientifiche, basta andarle a cercare. Qui voglio solo sottolineare come ogni cambiamento non possa prescindere da un atteggiamento diverso verso il pianeta che ci ospita e verso gli animali e le piante con cui condividiamo la presenza su questa terra.
L'ecologia della mente è ciò che conta davvero, il resto diventa un fatto naturale, spontaneo.
Inutile sfilare con la nuova, fiammante automobile elettrica, quando la sua produzione costa lo sfruttamento, e il maltrattamento, dei minori nelle miniere del Congo. Bambini violati, sottopagati, ridotti allo stremo. Non è molto “green”.
Come non è “green” pretendere di imporre alle famiglie cappotti, infissi, caldaie, quando poi scendendo a buttare la spazzatura ti ritrovi i divani insieme ai carciofi.
E, allo stesso modo, non è “green” uccidere (preventivamente, mi raccomando) animali salvati e protetti nei santuari per salvare i suini degli allevamenti infestati dalla peste, perpetrando il sistema intensivo di consumo della carne che, se solo fosse dismesso, risolverebbe gran parte dei problemi che ci troviamo davanti, compresa la fame del mondo (ma la fame è meno “green” delle vie pedonali, in scale di valori complesse che non riesco proprio a digerire)
Insomma, viva l’ecologia, ma solo quella che ci piace. O, meglio, quella che ci conviene. O, meglio ancora, quella che conviene al solito gruppo di potere che orienta le decisioni di finanze, banche e governi.
Non è bastata una pandemia a renderci migliori, ha invecei contribuito ad abbrutire, terrorizzare, a rendere manipolabili e prepararsi ai giorni futuri dei vari allarmi previsti in agenda.
Nulla può renderci migliori, nulla può renderci “green” se non trasformiamo la nostra coscienza, rendendoci conto che l’egosistema che abbiamo costruito sarà la nostra stessa distruzione.
Finché il mondo sarà considerato come un supermercato in cui andiamo a fare la spesa, prendendo ciò che ci serve, anche a discapito di altri, anche rubandoglielo, finché sfrutteremo la terra di cui siamo figli pensandola, con un atteggiamento magico molto infantile, dotata di infinite risorse che stanno lì, eternamente a nostra disposizione, finché vedremo in un albero un ornamento da abbattere se ostruisce il panorama del nostro villino (magari tutto ecologico, dotato perfino di pale e fotovoltaici) e non un sistema complesso che ci fornisce l’ossigeno, finché sfrutteremo ferocemente ogni animale che abita questo pianeta, abbattendolo quando ci va, e ci piace, finché ci immagineremo separati gli uni dagli altri, e tutti divisi dalla natura, nessuna conversione “green” sarà mai reale.
Siamo su un Titanic e il Titanic ha incrociato l’iceberg molto tempo fa, e l’unica virata che avremmo dovuto fare era una nuova inclinazione della nostra coscienza.
Adesso, come al solito, la prima classe ha in dotazione le sue belle scialuppe, mentre la terza classe, come sempre, sarà ridotta a marcire.
Ma questo pianeta è basato su una democrazia particolare in cui tutti sono uguali a tutti quando si tratta di sopravvivere alla distruzione globale che ci attende se non facciamo quel benedetto salto di coscienza. Perché siamo collegati alla terra, e ogni suo movimento ci influenza, e ci riguarda.
“Ogni gesto è politico”, scrive la meravigliosa Wislawa Szymborska in un suo verso. Sì, anche l’uso di una forchetta è un gesto politico. Perché se scelgo cosa mangiare esercito un “voto” rispetto, alle tragedie degli allevamenti intensivi che non solo danneggiano gli animali, ma la nostra intera esistenza. Qui il discorso si fa lungo, dico soltanto, per brevità, che senza arrivare ai radicalismi il problema è la mancanza di rispetto verso la vita, la vita di chiunque, tranne la nostra e quella della nostra famiglia.
Quando gli indiani uccidevano un bisonte, lo onoravano, lo ringraziavano.
Perché un tempo l’uomo non si era separato dalla natura. L’uomo si sentiva parte integrante, e nel mistero della vita che mangia la vita per continuare ad esistere esisteva un ‘etica, un riguardo, un rispetto.
Ma il consumo ha ucciso il dio Pan. Sì, Pan è morto. E con la sua morte la terra ha perso la sua possibilità di salvezza.
Il nostro egosistema è basato sull’arroganza antropocentrica con cui camminiamo su questa terra.
No, non siamo i padroni di tutto. E un giorno ce ne renderemo conto, così come ci renderemo conto che i soldi non possiamo mangiarli.
Dunque che fare? Smetterla e ripensarci come umanità. Cercare il collegamento con il cuore, scendendo dalla testa per incontrarlo.
E comprendere come la separazione dalla natura, e dai suoi figli, che sono i nostri fratelli, sia la responsabile del declino umano a cui stiamo assistendo.
Ciò che viviamo all’esterno parte innanzitutto da noi. Ognuno di noi, con le sue piccole scelte, può spingere la sua goccia in direzione del mare.
Smettiamola di essere ipocriti. Il green washing non è la soluzione.
Comprendere esattamente il concetto di ecologia è un passo fondamentale, imprescindibile. Non è solo una “disciplina che studia gli esseri viventi nelle loro relazioni reciproche e con l'ambiente nel quale vivono, dal punto di vista biologico” perché le relazioni con l’ambiente biologico in cui viviamo determinano la vita o la morte dell’intero sistema dell’esistenza su questo pianeta.
Quindi l’ecologia è innanzitutto uno stato di coscienza. Si deve iniziare da qui. Tra l’altro per questo sistema siamo noi il danno principale, siamo noi “il virus che infetta il pianeta, che si moltiplica come cavallette”, come dice a Neo l’agente Smith in quel documentario travestito da film intitolato “Matrix”.
Siamo noi a essere drammaticamente in esubero, noi che decretiamo piani di abbattimento quando un orso fa un orso, o quando un animale a cui devastiamo gli spazi naturali in cui vive è obbligato a spostarsi in cerca di terra e cibo, esattamente come faremmo noi, e perfino quando si moltiplica perché la nostra spazzatura metropolitana è attraente e facile da conquistare. Infatti l’anno scorso, a Roma, ho scattato una foto a un gabbiano che mangiava il tonno Rio Mare da una scatoletta buttata per terra, accanto a un bidone pieno zeppo da giorni. Quella foto è una tragica sintesi di questi tempi.
Eppure, niente. Non ci fermiamo davanti a niente.
Non ci fermiamo davanti al clima che cambia, né davanti alla morte e alla sofferenza delle catastrofi, né davanti alla terra che boccheggia in cerca del perduto ossigeno sottratto dalle sue foreste disboscate, né ci fermano i maltrattamenti degli animali, considerati oggetti di uso, consumo e smaltimento (che sia nella pancia, in un canile o in mezzo a una strada poco importa) senza pensare mai che gli esseri senzienti vivono, amano, gioiscono e soffrono esattamente come noi.
L’alfabeto umano non è l’unico, è soltanto l’unico di cui disponiamo Noi, e che Noi conosciamo.
Appunto, Noi. Ma ci sono anche gli Altri. Qui si gioca la differenza tra egosistema ed ecosistema.
Se il “green” è figlio dell’egosistema, alla fine “cambieremo tutto per non cambiare nulla”, in una gattopardesca prosecuzione del vizio.
Dobbiamo cambiare. Adesso. Ma non fuori. Dobbiamo cambiare dentro.
Prima che sia davvero troppo tardi per questo pianeta, e di conseguenza per noi.
Perché la vera, mortifera tara dell’egosistema è la sua condizione innaturale. Ed è questa stessa condizione che porta l’uomo a combattere, insieme alla natura, agli animali, anche sé stesso.
Già. Perché la vera guerra al meraviglioso, perfetto organismo rappresentato dalla natura (che si muove attraverso sistemi di rete, esattamente come i nostri neuroni), è una guerra contro di noi.
In un disegno che è armonia, equilibrio, cooperazione (come ci insegnano le piante), in cui nulla si butta, e in cui la vita che si ciba di vita per perpetuarsi vibra in accordo con le leggi universali, e lo fa senza abusi, senza stupri, senza gratuite crudeltà - e soprattutto senza fare del profitto il Dio che ha ucciso Pan - l’unico sbaffo, l’unica macchia, l’unico, imperdonabile difetto è l’uomo stesso.
Degli dèi conoscevamo la fiamma rubata, adesso siamo solo pallidi moltiplicatori, automi senza coscienza. Siamo i nostri sudari, le nostre sindoni mentre invece la maschera bella viene offerta al mondo postando su Instagram.
Non c’è più rispetto per la sacralità della vita. Si rispetta e si venera solo la illogica realtà del profitto, segno e simbolo di queste nostre magnifiche sorti e regressive”, tutte moderne, che perturbano e affliggono il mondo.
Il cambio non è solo la conversione “egologica”. Appunto.
Forse siamo ancora in tempo? Probabilmente no, ma siamo in tempo per imparare a pensare che esistono gli altri, esistono le discendenze a cui abbiamo sottratto un futuro sereno, ed esistono anche i fiumi, gli alberi, i lupi e gli agnelli. Esistono a prescindere da noi, ma sono collegati a noi, come noi siamo collegati a loro.
Ẻ tempo di modificare. La conversione va fatta nel centro del cuore. Poi, poi verrà anche il “fuori”.
La frenesia delle specializzazioni ci ha fatto dimenticare l’unità immancabile di cui tutto è pervaso, e solo una visione “olistica”, integrata, consapevole che il battito della farfalla è connesso all’uragano dall’altra parte del mondo” ci salverà.
Nessun “egotravestimento” è più possibile.
E se ci illudiamo che un bagnetto “green” e un’Intelligenza Artificiale risolveranno i nostri problemi siamo lontanissimi dalla percezione di ciò che veramente va fatto per garantirci un pianeta, e una vita.
Anzi, l’Intelligenza Artificiale, in mano nostra, rischia di aumentare il grado di elevazione della nostra stupidità.
Fino al giorno in cui, come narra il profetico Kubrick, anche un computer ci risponderà:
“Mi dispiace, purtroppo non posso farlo”.