Se ripenso al corso di editoria mi vengono in mente, al di là del difficile ri-scontro con il mondo editoriale che mi aspettava e vi aspetterà, dei mesi molto pieni e appassionanti, che sono serviti a darmi un’idea del percorso che trasforma un dattiloscritto nel libro che compriamo, leggiamo, a volte amiamo.
Chi come me affronta un corso del genere ha prima di tutto, ça va sans dir, una grande passione per i
libri, ma per quanto mi riguardava io non avevo un’ idea chiara di quello che ci fosse dietro: delle figure
professionali che esistono all’interno di una casa editrice, del lavoro di editing, di confronto con gli
autori, di revisione e di impaginazione; un lavoro di perfezionamento, di limatura, invisibile ma
fondamentale.
Delle lezioni di Francesca, mia docente, dieci anni dopo ricordo soprattutto l’entusiasmo in
quello che faceva e la capacità, molto concretamente e, direi, con atteggiamento più “artigianale” che
“artistico”, di farci accostare alla lettura critica di un testo: insegnarci a valutarne potenzialità e limiti, a
riflettere su registri e stili, a ipotizzare come avrebbe potuto essere migliorato. Insomma, prima di tutto,
ad acquisire come lettori l’attitudine a uno sguardo “attento”, un abito mentale che poi un abito mentale che poi mi sono
ritrovata e ho approfondito nella mia esperienza di redazione e nel lavoro come traduttrice.